Lo spazio neutro

in “Millepiani n. 34 – Associzione Culturale Eterotopia – Milano novembre 2008

“Dialoghi tenui e liberi pensieri animano lo spazio neutro, vuoto e vibrante di tutto ciò che potrebbe contenere. Nell’epoca del superfluo la dimensione dell’essenziale diventa una ricchezza, di cui si è perso il valore”.[1]

Il termine neutro indica un “terzo fatto” che non appartiene a nessuno di due fatti ritenuti opposti o in contrasto tra di essi.[2] Attraverso questo carattere di imparzialità il neutro descrive certe tinte come il beige, l’insapore di sostanze come l’acqua o l’obiettività equanime nella valutazione di casi e situazioni. [3]
Adesso parlerò del neutro applicato allo spazio che ogni giorno raccoglie individui per lo più sconosciti, ovvero lo spazio pubblico. Gli spazi di sosta e di collegamento sono stati a lungo neutri e alcuni di essi lo sono ancora: quelli rimasti esenti dall’intromissione di atmosfere artificiali ed elementi concreti che stonano con la loro naturale vivibilità.
Lo spazio neutro non è necessariamente uno luogo spoglio e tanto meno silenzioso; potrebbe considerarsi vuoto nel senso di libero da ciò che lo modifica rispetto agli obiettivi di utilizzo comune. Può trattarsi di una strada, di un crocevia, così come di un Caffè, di un negozio, di una stazione ecc.[4] I luoghi in cui si passa e ci si ferma accolgono persone secondo quell’equilibrio che si stabilisce tra l’essenzialità strutturale di uno spazio e la sua funzionalità pubblica di transito, di socialità ecc.
A volte questo equilibrio si mantiene nonostante si modifichino le finalità. Ad esempio lo scalo di una ferrovia viene trasformato in un giardino o in un’area posteggio: nuovi obiettivi rivolti alla collettività si sostituiscono a quelli originari, in un ambiente che rimane essenziale (senza l’aggiunta di elementi bensì con loro totale sostituzione). Diversamente l’equilibrio si spezza quando in un’area destinata alla quiete, come trattandosi di un parco, si erige una discoteca o viene costruito un parcheggio sotterraneo: lo stesso ambiente, espropriato della sua essenzialità basica diventa terra di abbandono e di degrado, secondo interessi che non riguardano più la collettività.[5]
Nel complesso di può dire che l’equilibrio determinato dal neutro nelle aree condivise viene a mancare quando elementi estranei si insinuano nell’ambiente, andando a colpire la sua indispensabilità di base: lo spazio si trasforma tra restringimenti e interruzioni che ostacolano il transito, con i prolungamenti degli esercizi commerciali e i parcheggi impropri; oppure si comprime nella sua dimensione sociale attraverso le colonne sonore e i rumori ansiogeni causati da un traffico che non fluisce.
La vivibilità dei luoghi pubblici avviene quindi attraverso la realizzazione dei rispettivi obiettivi, in un ambiente che rimane essenziale, neutro, idoneo a favorirne l’utilizzo collettivo così come era destinato all’origine.
Nell’era in cui aumentano i luoghi di interstizio con la nascita continua di agenzie dei servizi, una serie di elementi intrusivi accomunano i punti in cui confluiscono utenti e viandanti, in un contesto volutamente forviante, col frastuono delle musiche meccaniche e i percorsi di consumo obbligati. E il neutro rimane la dimensione più vicina all’individuo, al cittadino, secondo una realtà che tende a scomparire con la stessa velocità con cui aumentano le situazioni di transitorietà all’infuori delle proprie abitazioni.
Nonostante la progressiva trasformazione, gli spazi comuni mantengono il loro ruolo effettivo. Di fatto la stazione ferroviaria tuttora serve a partire e ad arrivare. Ciò che sta cambiando riguarda un aspetto più intimo, legato al tempo che l’individuo trascorre in questi luoghi. La fase di parentesi temporale è quella che più risente del processo erosivo del neutro. Per un pendolare il tempo impiegato a viaggiare significa lavorare, riposare (senza i disagi degli altoparlanti e dei telefoni cellulari). La pausa pranzo per chiunque è anche un momento di recupero delle energie che non può avvenire ovunque, non dove si è costretti a subire i suoni delle slot machine, delle radio e delle tv.
Attraverso l’infiltrazione di stimoli che distraggono la mente, lo spazio pubblico perde il suo carattere di imparzialità. Per capire il processo erosivo del neutro occorre considerare la grande trasformazione che ha subìto il paesaggio multisensoriale negli ultimi decenni. Negli luoghi di particolare transito e convergenza, ai rumori tradizionali del traffico e dell’edilizia si è aggiunto un complesso di suoni invasivi, espressi attraverso musiche, parole, segnali d’allarme.
La “terza voce meccanica” sovrasta ampi diametri come le spiagge e gli interi isolati in occasione di eventi sportivi, religiosi, notti bianche, attraverso fonti di amplificazione spesso inamovibili, installate alle pareti di strade, campanili, uffici e mezzi di trasporto.[6] Questi “campi di ricezione” costituiscono un alone elettronico che avvolge gli individui senza esclusione, costringendoli a sentire il messaggio amplificato : il sordo rumore di un condizionatore scompare con la voce di uno speaker che, al di là dei contenuti, impone captazione, decifrazione. [7] E la musica, anche quella che non piace, è dotata di un forte potere emotivo.

Del resto, annientare la dimensione del neutro non è complicato: la voce di un transistor in un locale di ristorazione già impone di sforzare i toni a chi vuole parlare: ciò non rappresenterebbe un problema trattandosi di una discoteca o anche di un generico Caffè contrassegnato dalla presenza di musica al suo interno. Ma il neutro non ha una sua identità e così non esistono luoghi in tal senso salvaguardati.
Il superfluo, l’inutile, imprime lo spazio che si ascolta a altresì quello che si attraversa: con gli arredi della commercializzazione, con i gazebo i capannoni e le esposizioni occasionali. Sono tutti elementi estranei rispetto al ruolo dello spazio che li accoglie. Se la voce amplificata che annuncia il ritardo di un treno è utile a chi deve viaggiare, la pubblicità amplificata di un prodotto non serve al passeggero bensì al potenziale consumatore che è in lui. Se l’asfaltatura di un percorso serve al cittadino, il prolungamento di un Bar sul marciapiede crea ostacolo, specie per chi ha difficoltà a muoversi.
Gli elementi che si aggiungono agli spazi neutri non si spiegano con nessun vantaggio per la gente: manca la controparte che li rende accettabili quali inevitabile conseguenza di un servizio (ad esempio il rumore del treno), assimilandoli col tempo alla leggendarietà del contesto urbano: molte persone preferiscono abitare dove l’eco della strada incute senso di movimento, di dinamica, di vita. Ma gli elementi che erodono il neutro non si amalgamano coi rumori di fondo; attraverso la forza dell’amplificazione e la platealità degli arredi bucano lo sfondo e si impongono su di esso come protagonisti. Gli effetti di segnali e informazioni indotte non appartengono ancora alla memoria urbana, e trattandosi di stimoli sollecitanti, difficilmente verranno emarginati sullo sfondo così come è accaduto per i ronzii e gli altri rumori bianchi.[8]
Spesso ci si dimentica della vera finalità degli spazi comuni: del rettilineo quale collegamento da un punto ad un altro, del Bar quale luogo in cui bere qualcosa ecc. È così che avviene la progressiva erosione del neutro, trascurando i suoi veri obiettivi: di corridoio urbano esente da inutili barriere, di parentesi di tempo spendibili in totale autonomia mentale: strana contraddizione se si pensa a quanti intervalli l’individuo contemporaneo si trova a trascorrere in una società basata sulla flessibilità del lavoro e sulla mobilità reticolare.[9]
Da questa descrizione emerge un fattore dominante di ridondanza, di inutile, di superfluo che comprime attualmente lo spazio più abituale. La città nasce dalla campagna e dalla sua progressiva erosione: sarebbe quindi un controsenso parlarne in termini di benessere e di silenzio. Al tempo stesso si potrebbe definire la commercializzazione delle aree un aspetto dell’attuale trasformazione urbana.
Ma gli elementi di arredo e farcitura comprimono lo spazio attraverso un processo molto rapido, opposto a quello che prevede un miglioramento della dimensione essenziale (con l’ampliamento delle aree pedonali e ciclabili). Ad esempio in periodo natalizio o estivo si decide di intensificare gli eventi che richiamano consumatori e turisti, e così i centri urbani si riempiono di luci, altoparlanti e strutture mobili che occupano le superfici pedonali.
Questa stessa facilità di allestimento implica un impatto immediato sui sensi, con le sonorità diffuse, gli abbagli luminosi e le cose da vedere; con il traffico di veicoli che sempre accompagna situazioni di mondanità e consumo, in un restringimento complessivo delle aree in cui la gente continua a svolgere le attività quotidiane.[10] Con questa stessa facilità di trasfigurazione dello spazio comune, la dimensione dell’essenziale scompare attraverso una ridondanza apparentemente innocua (in fin dei conti si tratta di parole, immagini e arredi appariscenti), che colpisce il territorio in situazioni occasionali di intrattenimento e di consumo, e a livello meno effimero privilegia i punti più nevralgici della rete (aeroporti, strade turistiche, stazioni ferroviarie e metropolitane, catene alberghiere e commerciali).[11] In molte stazioni delle città europee le musiche meccaniche, le immagini proiettate e le poche panchine spigolose, tendono a disincentivare la sosta prolungata.[12] L’equilibrio tra essenzialità di un luogo condiviso e la sua effettiva funzionalità traballa dove c’è movimento di beni e di possibili consumatori. E i diversi paesi si distinguono in base al valore che ognuno attribuisce al pubblico spazio, indipendentemente dalle trasformazioni in corso.
Nel contesto inglese ad esempio, lo spazio neutro subisce erosione attraverso le musiche diffuse in quasi tutti i punti vendita. Tuttavia nelle stazioni ferroviarie e metropolitane non vengono trasmesse pubblicità. Questa incolumità dei luoghi che offrono servizi necessari riflette in parte una rigida organizzazione stradale, con gli ampi percorsi riservati ai pedoni e ai ciclisti. Dove invece lo spazio sociale, attraverso gli spot amplificati diventa oggetto di compravendita tra imprese (come nel contesto italiano), il processo erosivo del neutro è ormai prassi istituzionalizzata, su cui si basa lo stesso sistema economico e della mobilità.[13]
I rumori dei motori nella loro insignificanza e assenza di informazione non comportano quell’invasività resa dai segnali d’allarme e dai canali delle emittenti (tra picchi sonori e voci ossessive). Tuttavia il nuovo traffico, con gli infiniti veicoli in circolazione agisce aggressivamente sui sensi.[14] Nell’attuale scenario urbano il disagio da rumore necessita di essere valutato attraverso la qualità perché il traffico, anche a parità di intensità, non è sempre uguale. Rispetto al transito in scorrimento, l’effetto uditivo prodotto da brusche frenate e sgommate stimola pensieri inquietanti, specie quando avvertito nel sonno: il “traffico statico” è presente anche la notte, attraverso stazionamenti di veicoli nelle aree attigue ai locali serali.[15]
Ambienti congestionati, assembramenti fittizi, volgari sonorità e segnali allertanti dilaniano il neutro. L’individuo si adegua a tale degrado con la stessa apatia con cui lo subisce. Da questa patologia ambientale derivano comportamenti altrettanto unanimi di distanza e disorientamento nei confronti del contesto reale, di sordità causata dal toppo sentire.[16] L’effetto confuso dell’amalgama sonoro rimane presente nella memoria e crea distrazione nel lungo periodo.
Alla sordità di chi fatica a selezionare le troppe informazioni, si aggiunge quella di chi decide a priori di non filtrare informazione alcuna, provocando la propria sordità anche in situazioni in cui l’ascolto è fondamentale (l’uso del telefono durante la guida e degli auricolari che isolano acusticamente il pedone e il ciclista).
Di distrazione tecnologica, quale stato di alterazione che provoca incidenti si parla ancora poco rispetto ad altre motivazioni come l’abuso di alcol o di droga, che sicuramente pesano ma costituiscono solo una parte dei comportamenti da guida irresponsabile.[17]Mentre cala leggermente il numero degli incidenti stradali in Italia, aumentano i sinistri causati in primo luogo dalla distrazione, dall’allungamento dei tempi di reazione.[18]
L’infinità di informazioni che il cervello riceve dall’esterno crea dispersione, e il neutro è anche lo spazio dell’attenzione, del controllo attraverso i sensi in assenza di stimoli interferenti. L’abitudine a non ascoltare i suoni singoli si traduce in una sorta di sordità diffusa che, differentemente da quella fisiologica, investe anche la capacità di focalizzare una situazione, di percepirla e in qualche modo prevenirla. Il “traffico statico”, con gli infiniti veicoli in fase di manovra, richiede una particolare intuizione.
La distrazione tecnologica inibisce il controllo di una situazione in continua evoluzione come quella stradale, e le conseguenze si presentano con maggiore suscettibilità in quei paesi dell’occidente in cui la sonorizzazione dei pubblici spazi diventa un processo istituzionalmente legittimato. È più difficile pretendere comportamenti responsabili dove il territorio già viene offeso per via di meccanismi imposti dall’alto e altresì applicare con rigore i divieti di utilizzo delle tecnologie durante il transito (un problema che di fatto nel contesto inglese non si pone).
Come una stanza che contiene il necessario ma ancora non è addobbata, lo spazio neutro è la dimensione che meglio si presta all’interpretazione di ognuno, in quel mentre, attraverso quel particolare stato d’animo. Lo spazio pubblico raccoglie infiniti sconosciuti secondo un altro aspetto di funzionalità primaria di cui ci si è dimenticati (come per gli obiettivi di transito e attraversamento).[19] Questo aspetto di convivenza transitoria non ha mai costituito materia di riflessione se non in termini pratici di accessibilità e contenimento, e più concettuali nei casi di permanenza involontaria (carceri ospedali ecc.).
Lo spazio neutro, essendo libero da elementi superflui invasivi, ha sempre mantenuto una funzione implicita di base discreta nei confronti dei tanti estranei che lo condividono, e l’estraneo non è un soggetto da intrattenere.[20]Questo carattere di imparzialità era e rimane prerogativa di un potenziale interpretativo che questi luoghi mantengono fino a che ognuno li può mentalmente utilizzare: la somma di tante libertà soggettive e altrettante distanze sociali, li rende realmente collettivi.[21]
Ora succede che questi luoghi, seppure accessibili a tutti, non sono più veramente pubblici poiché già in partenza interpretati da unità prevaricanti, che si sostituiscono all’iniziativa del singolo. Non è realmente libera la strada che, attraverso un traffico che crea paura diviene un corridoio ostile, così il marciapiede ostruito dai plateatici commerciali e dai veicoli parcheggiati.[22]
Non sono veramente pubblici tutti quei luoghi in cui lo spazio mentale di ognuno diventa oggetto di interessi privati, e dove l’altro, pur nella sua estraneità, diventa un ulteriore ostacolo.[23]
Differentemente dalla natura e dalla sua tutela, il neutro non è mai stato ritenuto un esigenza, forse poiché a lungo ha fatto parte dell’urbano. Ma le città possono ampliarsi e trasformarsi senza per questo perdere l’equilibrio tra essenzialità e funzione che ne preserva la qualità della vita. Ottenere nuovamente questa armonia è molto facile, molto più che progettare e costruire spazi nuovi perché quelli del neutro già esistono e possono essere recuperati, togliendo anziché aggiungendo, liberandoli dal superfluo. E il primo passo è prendere coscienza di una dimensione che deve tornare alla gente, alle giovani generazioni che ancora non ne hanno goduto, e a quelle che verranno in seguito.

[1] S. Zambrini, in Vuoto e Creatività, 135 opere e 33 pensieri sull’arte, G. Ottaviani (a cura di), Studio D’ARS Milano 2008.
[2] Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Milano 1970.
[3] F. Jullien, Elogio dell’insapore, R. Cortina, Milano1999.
[4] L’area neutra indica uno spazio o un luogo pubblico, dotati di una funzione primaria: attraversare, raggiungere, passeggiare (per quanto riguarda la strada) e di una funzione parallela (non secondaria) di recupero del tempo. La funzione primaria rimane estranea a situazioni di intrattenimento indotto, ossia musica e informazioni diffuse attraverso radio, televisioni e altoparlanti, luci ad effetti speciali e proiezioni filmiche. Cfr. S. Zambrini, L’erosine del Neutro, Edizioni Goliardiche, Trieste 2006. pag. 21.
[5] J. Jacobs, Vita e morte delle grandi città, Einaudi, Torino 1969; J Kociatkiewicz and M. Kostera, The anthropology of the empty space, in qualitative sociology, cit. in C. Sebastiani, Comitati e spazi pubblici urbani, “Rassegna italiana di sociologia”, n. 2, 2001.
[6] La “terza voce meccanica” ossia quella amplificata, elettrificata, tecnologicamente mediata, domina l’ambiente sovrapponendosi alle prime e alle seconde provenienti dal basso (voce umana, rumore dei passi ecc.). Cfr. S. Zambrini op .cit. pag. 8.
[7] Il “campo di ricezione” rappresenta il perimetro di spazio all’interno del quale ogni individuo presente è costretto a recepire i suoni e le informazioni amplificate. Può trattarsi di un Bar in cui è diffusa musica, come di un intera spiaggia o di un isolato durante una sagra, un evento sportivo o una notte bianca. Attraverso il “campo di ricezione” il messaggio s’ infiltra nello spazio mentale potenzialmente introspettivo di ogni individuo presente. Cfr. S. Zambrini, op. cit. pag. 8.
[8] Il rapporto tra progresso tecnico e rumore non è certo limitato alle attività produttive industriali se solo si pensa all’uso della tecnologia nell’ambito dell’amplificazione del suono, con la realizzazione delle megadiscoteche oltre alla funzione attrattiva di certi locali di intrattenimento, ristorazione ecc., con la musica che dal locale arriva alla strada. Il rumore bianco (privo di segnale) appartenente a motori e macchine ha subìto col tempo una progressiva riduzione poiché si tende ad ottenere automobili ed elettrodomestici sempre più silenziosi anche se parallelamente si assiste ad una continua moltiplicazione di tali unità. Al contrario la tendenza tecnologica in ambito di amplificazione sonora tende marcare le sue potenzialità di diffusione e prevaricazione. Cfr. S. Zambrini, La città in concerto, Auditorium Edizioni, Milano 2004. pag. 30.
[9] L. Balbo, Tempi di vita, Feltrinelli, Milano 1991; G. Gasparini, Sociologia degli interstizi, Mondadori, Milano 1998.
[10] Z. Bauman, Il teatro dell’ immortalità, Il Mulino, Bologna 1995.
[11] M. Augè, Non luoghi, Eleuthera, Milano 1993; F. La Cecla, Perdersi, Laterza, Bari- Roma 1988; M. Ilardi, Nei territori del consumo totale, Derive/Approdi, Roma 2004; M. Torres, Luoghi magnetici, F. Angeli, Milano 2003.
[12] N. Ellin, Shelter from the Storm, cit. in N. Ellin, E. J. Blakery, Archtecture of Fear, “Princeton Architectural Press”, New York 1997, in Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Mondadori, Milano 2004.
[13] M. Castells, La nascita della società in rete, Egea, Milano 2002; J. Lefebvre, Spazio e politica, Moizzi, Milano 1976.
[14] Il “traffico statico” assomiglia ad una scacchiera in cui il gioco non procede perché ci sono troppe pedine rispetto al normale. La non fruizione è dovuta alla quantità di veicoli in circolazione, all’organizzazione carente dei trasporti pubblici e alla distribuzione delle attività, sedi di ripetute manovre di carico e scarico merci (le aree terziarizzate sono particolarmente soggette ad assembramenti di traffico da congestione). Gli ostacoli che il nuovo transito deve affrontare non sono esclusivamente causati da incroci, strettoie, o altre cause conformi alla planimetria urbana. Il“traffico statico” crea conflitto attraverso se stesso, in una tensione costante tra veicoli, tra veicoli e pedoni, anche nei punti più inconsueti rispetto alle aree di tradizionale esposizione al rischio. I parcheggi, ad esempio, sono luoghi di continue manovre. Cfr. S. Zambrini, L’erosine del Neutro, Edizioni Goliardiche, Trieste 2006, pag.90.
[15] J. Jacobs, Erosione della città o eliminazione dell’automobile”, in G. Della Pergola (a cura di),Urbanesimo, Liguori, Napoli 1993.
Il rumore del traffico di cui oggi ci si lamenta spesso proviene da un congestionamento di automobili in prossimità di un’attività commerciale o di intrattenimento, e anche l’automobile in sosta (o per meglio dire in attesa) diventa una fonte sonora, con le musiche emanate dai transistor, le sonerie dei telefoni e le spie di allarme: è ormai un fatto usuale quello di sostare ore e ore all’uscita di locali serali e discoteche troppo costosi o stracolmi. Cfr. S. Zambrini, La città in concerto, Auditorium Edizioni, Milano 2004. pag 30.
[16] E. Goffman, Il comportamento in pubblico, Einaudi, Torino 1971.
[17] Mancato rispetto di precedenza (17,74%), guida distratta (15,36%) e velocità elevata (12,76%) sono tra le principali cause di incidente: da sole costituiscono il 45, 86% dei casi. Fonte ACI- ISTAT 2006.
[18] Lo stimolo di un richiamo come quello del telefono incide sui tempi di reazione, ossia sulla quantità di tempo che intercorre tra la presentazione di uno stimolo e la risposta. “i tempi di reazione di chi guida con il telefonino in mano sono in media più lenti del 50% rispetto a chi guida in condizioni normali. Chi parla al cellulare tenendolo in mano fa fatica a mantenere una velocità costante, tende a non rispettare la distanza di sicurezza e impiega mezzo secondo in più a reagire rispetto a quando le condizioni sono normali: in sostanza, alla velocità di 110km/h, percorre 14 metri in più prima dell’arresto! L’utilizzo di vivavoce e auricolare, se pur consentito, non elimina affatto il rischio: il tempo di reazione è comunque decisamente più elevato rispetto a una guida in circostanze normali. Cfr. http://www.directline.it/press-office/comunicati-stampa2006_5.jhtml
[19] R. Sennet, The fall of public man: on the social psychology of capitalism- New York 1978, pag. 39, cit. in Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari-Roma 2002.
[20] H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1994; Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Mondadori, Milano 2004; Z. Bauman, La società individualizzata, Il Mulino, Bologna 2001.
[21] A. Giddens, Sociologia, Il Mulino, Bologna 1991.
[22] H. Lefebvre, Il diritto alla città, Marsilio, Padova 1970; S. Zukin, The Culture of Cities, Oxford 1995, in Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari-Roma 2002.
[23] H. Arendt, op.cit.; N. Bobbio, Uguaglianza e libertà, Einaudi, Torino 1995.