Il lato avverso della musica

Pubblicato in www.bluarte.it, febbraio 2011.

Più volte mi stato chiesto come sia possibile, per una persona che conosce ed ama la musica, poterne provare il fastidio. L’affermazione secondo cui musica e rumore sono due cose distinte e contrapposte ultimamente è divenuta uno slogan. Sindaci, vicesindaci e assessori comunali più volte hanno accusato di ignoranza e dispotismo chi protesta contro il disagio procurato da musica: strana contraddizione considerando che proprio nei luoghi della coercizione la musica ha sempre avuto un ruolo di pena inflitta o di sadico intrattenimento come già nei lager nazisti. Può sembrare un paradosso estremo ma anche l’attuale musica diffusa nei pubblici spazi ci perviene attraverso un ascolto coatto secondo un continuum di brevi brani musicali e fiumi di parole sulla base di ritmi persistenti. Ho avuto modo in passato di descrivere questo alone invasivo come un concerto che avvolge la metropoli, che e si insinua nelle menti sostituendosi al pensiero, al riposo e alla possibilità di leggere qualcosa. Eppure si tratta di “musica”, ovvero di suoni, melodie, timbri, parole, ovvero del peggiore dei rumori perché il ronzio di un motore, per quanto fastidioso, non si stampa nella memoria come invece la musica (anche quella che non piace) e la frase (anche se inutile e banale). E’ questo il nuovo inquinamento acustico. Dal rumore dell’industria si è passati a quello dell’informazione diffusa, della musica passiva, parassita e della pervasività dei messaggi promozionali: trattandosi suoni e frasi che vanno captate e decifrate, il volume sonoro non potrà mai limitarsi al sottofondo. La gente si difende dall’alone invasivo isolandosi coi sensi se non attraverso l’assuefazione all’ascolto continuo che a propria produce altro inquinamento ( il barista si intrattiene con la radio a volume alto nel suo locale), il tutto in una sorta sordità mentale che si va generalizzando con conseguenze talora drammatiche. Recenti studi sugli incidenti stradali rilevati annualmente mostrerebbero un significativo legame tra l’aumento di un certo tipo di sinistri e l’uso delle tecnologie in strada. E le prime vittime sono i pedoni, specie da quando l’uso di iPod in strada è divenuto abitudine.
Diversamente da quella fisiologica, la sordità causata da “altro” ascolto, oltre all’udito coinvolge la vista, basti pensare allo sguardo vitreo del ciclista avvolto negli auricolari o a quello distratto dell’automobilista al telefono. Pensiamo anche al disorientamento di chi ha trascorso molte ore in ambiente assordante, o di chi è costretto all’insonnia per via di locali ed eventi notturni: malessere e stanchezza si manifestano il giorno dopo e si accumulano nel tempo.
Torniamo adesso al quesito iniziale per cui, specie chi ama far musica ed ascoltarla non dovrebbe mai esserne disturbato. Il rumore continua ad essere misurato in termini di “quantità” ma i messaggi musicali e parlati catturano l’attenzione indipendentemente dai decibel. La “qualità” del rumore caratterizza l’attuale paesaggio dei sensi, e i musicisti sono particolarmente sensibili all’irruenza di sonorità estranee che invadono i luoghi del quotidiano con grande facilità: la stessa facilità con cui queste interferenze potrebbero retrocedere visto che in questo caso non occorrerebbe l’abbattimento di muri e altre barriere.
Così come gli oncologi per primi hanno reso noti i danni da fumo passivo, musicisti, conoscitori, ascoltatori attenti, ovvero “medici del suono” possono denunciare l’ascolto passivo e invasivo di musica e informazioni amplificate, con maggiore autorevolezza rispetto ad altri: per salvaguardare la salute di ognuno e per difendere un patrimonio che non merita certo di essere sottostimato quale la musica.