Ecologia del suono, un’arte o una scienza?

Pubblicato in L’ecoute du monde, Lucie Editions; Collection: Musique Environnement; ISBN: 978-2-35371-912-9 -Sonoritès N. 10, dicembre 2015.- Atti del Congresso Mondiale di Ecologia del suono – Arc -et -Senans France ,et Saillon Suisse 17- 25 -08 2012.

L’ecologia sonora è una scienza, ovvero un sistema di conoscenze ottenuto attraverso procedimenti organizzati, finalizzati a una descrizione verosimile della realtà ambientale acustica. Tutto questo rimane alquanto distante da quelle componenti di creatività ed estetica che caratterizzano l’arte, pur poggiando anch’essa sull’applicazione di metodi rigorosi.
In quanto scienza, l’ecologia sonora analizza gli equilibri che si stabiliscono nell’ambiente acustico in vista di un suo possibile risanamento, obiettivo questo che accomuna ogni disciplina ecologica ambientale. In quanto arte, attraverso suoni e musiche indotte, interpreta l’ambiente senza evidenziarne la reale essenza, in certi casi mascherandola, secondo un particolare aspetto della disciplina: compensativo anziché conoscitivo analitico, che tende a riequilibrare vuoti ed effetti irruenti attraverso creazioni musicali apposite, sofisticate installazioni acustiche e architetture adeguate (dal tipo di struttura alla scelta di materiali antiriverbero).
L’ecologia del suono, nel senso completo del termine, è una scienza. In quanto tale si avvale delle stesse tecniche di ricerca con cui si analizza l’estinguersi nel pianeta di alberi ad alto fusto e cibi non geneticamente manipolati. Non si tratta di una scienza esatta perché i risultati non possono ripetersi identici su casi infiniti. Si tratta di una scienza umana, che studia le relazioni tra individui in base agli impatti generati dall’ambiente sonoro.
Ci tengo a sottolineare queste delimitazioni concettuali perché, rendere incerto il confine tra arte e scienza in materia di ambiente sonoro, rischierebbe di sminuire un problema oggettivo di inquinamento acustico che non si arresta e di cui ancora manca una coscienza allargata.
Anche il paesaggio sonoro gode di risorse naturali proprie che rischiano di estinguersi, ovvero di infiniti suoni naturali che col tempo si sono trasformati in suoni deboli che nel marasma fonico non vengono più avvertiti (dal naturale passo dell’uomo al semplice spostamento di un oggetto). D’altra parte questi effetti uditivi sommersi costituiscono una risorsa fondamentale di naturale salvaguardia tra gli individui, come nel caso in cui avvertire con l’udito la presenza dei pedoni, per un automobilista, significa evitare di investirli. Ma i suoni naturali sono risorse vitali anche per tutti quegli aspetti di fluidità dei rapporti comunicativi e di comprensione che, nella società attuale, si vanno impoverendo assieme all’avanzare di suoni amplificati diffusi: sono questi i veri responsabili di un abbassamento del livello basale medio d’ascolto che ha reso tutti un po’ più sordi e, di conseguenza, incuranti della quiete altrui. Attraverso un ascolto coatto veicolano informazioni, contenuti musicali, e questo aspetto già tenderebbe a porre il fenomeno dannoso acustico come una sorta di “arte”, di spettacolo rivolto a un pubblico. Proprio per questo lato mistificatorio di “arte indotta”, in parte responsabile dell’apatia sociale cui l’umanità risponde al continuo stimolo sonoro, è bene che l’ecologia del suono si attenga al suo ruolo di scienza. Che attraverso l’elaborazione di dati ricavata da inchieste e statistiche ufficiali verifica l’esistenza di una relazione tra il manifestarsi di particolari patologie, comportamenti e il fenomeno invasivo acustico. Che attraverso grafici e classificazioni evidenzia il fenomeno nel tempo e nello spazio, ad esempio visualizzando gli andamenti dei nessi tra esposizione al suono e i comportamenti distratti, o raffigurando situazioni urbano/acustiche: come l’area arancione che include gli effetti della movida e della commercializzazione urbana. L’area rossa, che oltre a questi effetti include quelli ansiogeni del traffico a motore, o l’area bianca, quale perimetro non necessariamente silenzioso ma esente da schiamazzi e degrado della commercializzazione (ad esempio strade e piazzali a normale scorrimento del traffico diurno).
L’ecologia sonora, nata per dare una risposta a fenomeni che oltrepassano la naturale trasformazione dell’ambiente, poggia su metodi ripetibili, applicabili a studi che riguardano altri ambiti, a eccezione del rilievo acustico sul campo: quest’ultimo attraverso la presenza del ricercatore, aggiunge all’indagine quell’aspetto metodologico qualitativo che il fonometro non è in grado di fornire.
All’ecologo del suono spetta dunque il compito di evidenziare il fenomeno ambientale acustico attraverso l’analisi dei meccanismi sottostanti, tenendosi distante da elementi di opinione e di soggettività che possano interferire con la scientificità del caso: qualora il fenomeno si riveli dannoso, anche solo per una piccola parte della popolazione coinvolta, quello è comunque un risultato, che può essere confutato (ad esempio criticando i metodi che lo hanno prodotto) ma che non può essere ritenuto privo di rappresentatività. E’ quanto succede con le altre discipline ambientali puntualmente esercitate nelle università e nei centri di ricerca: discipline in cui il rapporto con l’arte viene meno ipotizzato. Del resto non avrebbe senso considerare espressioni artistiche gli studi che evidenziano la presenza di elementi cancerogeni nell’aria che si respira o negli alimenti. C’è tuttavia un punto in cui l’ecologia del suono e l’arte si incontrano, e riguarda la figura dello scienziato ecologo del suono. Costui non ha bisogno di essere un musicista ma la sua cultura musicale è importante. Il paesaggio dei sensi è come una partitura in continuo prolungamento e compressione delle voci attraverso l’immissione costante di sonorità indotte, informazioni amplificate, immagini dinamiche e segnali di spia. Per comprendere questo insieme è necessario saper leggere ogni voce: singola e in rapporto con le altre, distinguere le situazioni in cui l’ascolto è involontario e i contenuti sono inutili: musica e informazioni pubblicitarie diffuse in stazione oltre a essere inutili competono acusticamente con gli annunci di ritardo dei treni, cambio binario di partenza, arrivo ecc. Situazioni di movida in quartieri a forte concentrazione di attività commerciali notturne al di là della questione morale non sono compatibili con la vita dei residenti. Il rumore nei centri urbani è sempre esistito ma sono cambiati gli impatti perché le tecnologie sonore producono effetti potenti, che bucano lo sfondo: l’ecologo del suono sa che lo sfondo sonoro è un’altra cosa rispetto al rimbombo che pervade attualmente l’ambiente poiché, di ogni insieme sonoro, riconosce la composizione e il reale grado di intensità.
Tutto ciò non può scindere da una conoscenza musicale oltre che tecnica da parte di chi fa ricerca, così come delle arti figurative e architettoniche attraverso le epoche, delle fasi storiche, tecnologiche e tutto quanto contribuisce a diversificare la percezione ambientale collettiva: la letteratura, con i suoi nutriti riferimenti al paesaggio dei sensi è un altro considerevole elemento di conoscenza. E nemmeno può scindere da una certa idea del “bello”: non nel senso di ciò che piace ma di ciò che è integro, o che ha mantenuto una sua integrità. Il paesaggio dei sensi (non l’ecologia sonora) comporta una sua estetica, una sua bellezza intrinseca che lo scienziato ecologo del suono, e ambientale in genere, riesce a cogliere anche nella ridondanza di quanto lo circonda, attraverso la conoscenza specifica e la propria cultura.
Tutti possono essere ascoltatori attenti, analisti accurati del paesaggio ambientale dei sensi, e, per qualche verso artisti che tendono a personalizzarlo inducendovi atmosfere sonore, immaginifiche, particolari fragranze: questo è il grande fascino di una dimensione che coinvolge l’individuo in ogni momento della sua esistenza e anche il suo rischio: i confini tra spazio pubblico e privato in questo ambito della biosfera sono sempre più labili. E qui diventa fondamentale l’intervento dello scienziato ecologo del suono che, anziché proporre, risponde alle tematiche ambientali acustiche denunciandone il degrado e le collateralità, sulla base di metodi organizzati e severi. L’ecologia del suono è e deve rimanere una scienza.

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