Dal rumore in musica alla musica che fa rumore

Silvia Zambrini
Dal rumore in musica alla musica che fa rumore
Foglio Volante n.8 – Edizioni della Vita Nova di Giovanni Perez – Verona 2012

“Noi futuristi abbiamo tutti profondamente amato e gustato le armonie dei grandi maestri. Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto più nel combinare idealmente rumori di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per esempio, l’Eroica o la Pastorale… Ci divertiremo a orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio e lo scalpiccio delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferrovie, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche, delle ferrovie sotterranee”…
Luigi Russolo 11/03/1913

Attraverso l’ideazione di un apparecchio cui diede il nome di intonarumori, Luigi Russolo, assieme ad altri “rumoristi” della corrente musicale futurista, trovò il modo di rappresentare in musica gli effetti della città moderna, debuttando 21 aprile del 1914 al Teatro Dal Verme di Milano con un’orchestra composta da 18 intonarumori suddivisi in gorgogliatori, crepitatori, ululatori, rombatori, scoppiatori, sibilatori, ronzatori, stropicciatori. Durante quella serata vennero eseguite alcune sue composizioni suscitando sorpresa e anche indignazione da parte del pubblico e dei critici.

Luigi Russolo e l’intonarumori

L’intonarumori, tramite lo sfruttamento di corrente a bassa tensione fornita da semplici accumulatori, simulava gli effetti uditivi dei macchinari ma anche i versi degli animali e le voci della natura. Il “rumorarmonio”, anch’esso costruito da Russolo, amplificava questi effetti. La velocità di almeno 16 vibrazioni al secondo con cui un rumore viene trasmesso è tale da dare la sensazione di un suono armonico, appartenente a un grado della scala musicale. Alla traduzione in musica di queste composizioni contribuiva la loro esecuzione secondo il normale svolgimento di concerto sinfonico, col direttore d’orchestra che leggeva su una partitura formata da tradizionali pentagrammi sui quali i glissandi venivano annotati in “linee-note”.

Partitura da “Risveglio di una città”. Opera che fu eseguita durante il debutto al Teatro Dal Verme a Milano nel 1914.

Per isolarne il fastidio occorreva recepire gli effetti del traffico e dei macchinari attraverso un “ascolto ridotto”: questo termine, coniato dal compositore francese Pierre Schaeffer, indica l’ascolto di un rumore una volta isolata la sua provenienza, quindi di un rumore puro, estrapolato dal contesto quotidiano che lo ha generato. Il connubio di suono e rumore era alla base del manifesto futurista “L’arte dei rumori”.

Tante cose sono cambiate da allora, gli effetti aulici della città futurista sono stati assimilati nella coscienza comune ed emarginati sullo sfondo, come rumori bianchi e tutto sommato indolori, per certi versi persino apprezzabili: non pochi, specie i meno giovani, preferiscono abitare in un appartamento che si affaccia sulla strada. L’effetto dei veicoli in scorrimento e delle saracinesche dei negozi dà loro senso di vita e di movimento.
Il fracasso della città attuale è per lo più legato alle tecnologie sonore, agli assembramenti da movida e al traffico che non fluisce, secondo un impatto che difficilmente potrà diventare sfondo perché questi effetti prevalgono su tutti gli altri attraverso la loro discontinuità e picchi sonori che richiamano l’attenzione. Quanto alle musiche e ai messaggi pubblicitari, trattandosi di informazioni che vanno captate e memorizzate, il volume sonoro non potrà mai essere di sottofondo.

Movida notturna

Se ci fosse una nuova corrente artistica che esalta la velocità e la forza attraverso il fragore, non occorrerebbe inventare alcun dispositivo acustico: basterebbe proporre contemporaneamente l’ascolto di più canali radiofonici, sonerie di telefoni, clacson e sirene d’allarme in un ambiente acusticamente protetto, concentrandosi solo sull’ascolto.
L “arte dei rumori” attualmente è quella dell’informazione registrata, in cui risalta il timbro metallico reso dall’elettrificazione del suono: non più i rombi e i ronzii “intonati” attraverso un dispositivo apposito, bensì lo stridio della voce che perviene al telefonino e quella concitata di uno spaeker alla radio. Ecco il nuovo specchio uditivo della modernità, più che la fabbrica e le topografie rispecchia le palestre, i centri commerciali e grandi eventi nei centri urbani.
Il risultato è già quello del suono senza dover accelerare alcuna vibrazione perché il nuovo rumore si compone di suoni tecnologicamente riprodotti: ascoltare i loro effetti isolati servirebbe far capire non la musicalità del rumore (così come intendevano i futuristi) bensì la rumorosità dei tanti suoni amplificati che ormai ci accompagnano ovunque: un sorta di “ascolto ridotto” che, anziché le cause che hanno generato il suono, ne elimina il contesto: lo stesso rumore del fast/food senza il fast/food e senza fare altre cose durante l’ascolto.
Ma allora perché trasformare suoni già “intonati” dalle tecnologie in rumori sgradevoli? Se i futuristi cercavano di rendere un fastidio apprezzabile perché ora fare il contrario, concentrandosi su frasi pubblicitarie e frammenti di musica giusto per realizzarne l’insopportabilità?
I rumori che i futuristi volevano rendere gradevoli erano necessari e quindi tanto valeva accettarli: senza il fischio della locomotiva non si poteva nemmeno avere il treno. La colonna sonora invece non giustifica alcun servizio offerto (a parte poche informazioni utili come quella che esorta il passeggero a non oltrepassare al linea d’arresto lungo i binari della metrò). Ciò non di meno agisce sugli individui traducendosi in distrazione e sintomi di malessere diversi. Per questo sarebbe bene rendersi conto di un fenomeno che danneggia la qualità della vita inutilmente, senza giustificare il funzionamento di alcun mezzo di trasporto e altri servizi pubblici .
I futuristi esaltavano il progresso che allora significava il nuovo, l’andare avanti guardando al futuro senza esitazione. Oggi il progresso è diventato un concetto per molti aspetti controverso, che include a sé anche le collateralità e i drammi di un suo uso distorto.
L’attuale rumore urbano non ha certo bisogno di essere esaltato, nasce già come una forma di spettacolo, e un modo di guardare lontano sarebbe piuttosto quello di riportare il suono, dalla sua dimensione di intrattenimento forzato a quella di rumore macchinico, neutro, funzionale, che pur nel suo eccesso rimane uno sfondo, secondo quello stesso impatto che per i futuristi simboleggiava la città che lavora e che produce. Quanto alle note di Beethowen, Wagner, e degli altri compositori classici, questa non è più materia di ostinato passatismo come poteva essere considerata ai tempi di Russolo ma, al contrario, di recupero di un patrimonio spesso poco conosciuto anche per via della massa sonora che sovrasta attraverso l’amalgama di stacchi musicali, frasi e canzoncine, ovvero per via dell’attuale rumore urbano.