Commercializzazione e sonorizzazione

Commercializzazione e sonorizzazione delle aree pubbliche nell’attuale metropoli

La divisione concettuale tra inquinamento da rumore e inquinamento da suoni si trova alla base di una riflessione necessaria per poter risalire alle cause di tale tematica. 
In epoca post/moderna, il grande sviluppo del terziario (che ha comportato l’aumento della mobilità e del consumo), l’espandersi della metropoli e la proliferazione di emittenti commerciali, sono i principali meccanismi che aiutano a capire l’attuale invasione di suoni riprodotti su parte del globo.
La grande svolta creata dalla diffusione di unità elettroacustiche a livello di massa, più incisiva e planetaria rispetto agli effetti uditivi conseguenti la rivoluzione industriale, e in seguito quella del traffico, ha significato il passaggio da un paesaggio sonoro caratterizzato da suoni distinti (ossia immediatamente riconducibili alla propria fonte) ad un contesto di suoni indistinti, per la moltitudine e l’eterogeneità delle sue fonti che si sommano, alle quali è difficile immediatamente risalire.
Un continuum sonoro/musicale, oltre che rumoroso, accompagna la vita dell’individuo contemporaneo. 
Il rumore, come pura conseguenza dell’uso di una macchina, non ci informa di nessun evento.
L’intensità di questi rumori tende a diminuire grazie alla tecnologia che si impegna a inibire progressivamente il ronzio di apparecchi elettrici e a motore: non si arriverà tuttavia alla quiete poiché tali unità crescono numericamente assieme al benessere sociale. 
Da un lato siamo quindi rassegnati e consenzienti a convivere con uno sfondo di rumori insignificanti (rumore bianco, rosa, sordo). 
Ma allo stesso tempo, e senza avere in cambio alcun miglioramento vitale, condividiamo una massa sonora resa dall’emissione continua e dilagante di musica riprodotta e segnali elettroacustici (dalla bambola parlante agli amplificatori e diffusori di musica che emano i loro effetti su larghi spazi.).
L’obbiettivo che ci si pone è quello di contribuire a fare sì che il cittadino non accetti la presenza di suoni all’interno di spazi pubblici non deputati e che si ponga di fronte ad essi esattamente come si pone verso il rumore meccanico o verso i miasmi dell’atmosfera. 
Ma un grosso problema alla base permane: come può l’attuale cittadino prendere coscienza dell’invadenza di messaggi musicali e verbali quando questi fanno ormai parte integrale della vita degli individui condizionandone i pensieri e le iniziative in ogni momento e in ogni luogo?

Addensamenti sonori e consumo

Il moderno sistema di rete, per quanto riguarda la diffusione di segnali sonori, ha visto abolire ogni frontiera e ogni riferimento di un disagio in continua espansione: ovunque qualcosa si crea e si muove, permettendo la nascita e il movimento di altri elementi.
Infiniti suoni vengono subìti apaticamente secondo criteri che non rispecchiano esattamente il territorio bensì le attività che vi si svolgono. 
Nella società dei consumi, la concentrazione di determinati servizi (in particolare vendita e intrattenimento) comporta un maggiore movimento di persone, già così presupponendo un aumento di suoni amplificati.
E’ difficile immaginare una società organizzata secondo stili di vita arcaici, esposta a un frastuono continuo provocato dagli altoparlanti.
Nel periodo dell’industria, il rumore del traffico e dell’edilizia era riconducibile agli orari di fabbriche e cantieri, localizzabile in prossimità dei grandi centri urbani.
Diversamente, la società dei servizi prevede la concentrazione disomogenea di numerose ed efficaci fonti sonore, a livello di utilizzo individuale e di diffusione centralizzata.
E’ questa, grosso modo, l’essenza del “concerto” che io descrivo nel mio saggio “La città in concerto”: un’ “orchestra” sovrasta il territorio, annullandone i confini ed emarginandone i rumori sullo sfondo; ciò avviene attraverso addensamenti sonori che possono verificarsi di notte (ad esempio con il sorgere di un complesso ricreativo estivo) oppure durante certe fasi del giorno (negli orari di maggiore affluenza in prossimità di attività commerciali) o periodi dell’anno (fiere ed esposizioni), andando a coprire un diametro di territorio la cui grandezza può di continuo variare, così come il suo pubblico: pur non rappresentando l’obiettivo vero e proprio, nel mucchio viene colpito anche colui che non produce e non spende.
Nel nuovo scenario acustico non si rende più necessaria la grande industria o il centro urbano per provocare disturbo e permetterne rapidamente l’espansione. 
E’ sufficiente ciò che ovunque già può esistere: con poche abitazioni, qualche attività commerciale e un po’ di veicoli in circolazione, un movimento di persone e di cose già si articola. 
Attraverso una banale distribuzione di tecnologia quotidiana ed economica, la città, piccola o grande che sia, viene avvolta in un contesto di suoni indistinti provenienti da fonti amalgamate.

L’area pubblica nell’attuale contesto sonoro urbano

Il suono che si esprime attraverso musica, parole e segnali d’avviso, costituisce l’attuale contesto sonoro urbano, mediante un effetto particolarmente invasivo rispetto ai tradizionali rumori della metropoli. 
Il fenomeno investe una dimensione ancora poco considerata, ossia lo spazio di ricezione, potenzialmente sociale, dove ognuno è un potenziale ascoltatore e attore in grado di interagire.
È questo lo spazio più grande, che include tutte le dimensioni. 
Lo spazio fisico si sviluppa dal suolo mentre lo spazio di ricezione non ha radici e nemmeno confini.
Non per questo non è suscettibile nei confronti di elementi che vi si insediano, in grado di comprimerlo e anche di renderlo velocemente monetizzabile.
Viviamo in un contenitore sempre e in ogni momento disponibile ad accogliere suoni riprodotti, provenienti dall’utilizzo individuale delle tecnologie e dall’installazione di impianti fissi. Questi ultimi riescono a imporre lo stesso messaggio attraverso un effetto centralizzato, rendendolo “unico” rispetto ai suoni e ai rumori che si sviluppano dal basso.
Lo spazio pubblico, dalla strada alla sala d’aspetto di un ufficio, sta gradatamente perdendo la sua neutralità, ovvero la sterilità di uno sfondo acusticamente libero da tutto ciò che non è funzionale, ossia con i rumori inevitabili di un mezzo di trasporto ma non con la diffusione amplificata di spot pubblicitari che nulla in quel contesto hanno a che fare. 
Questo aspetto di erosione del pubblico spazio (quale spazio di ricezione, potenzialmente sociale) è il tema portante del mio saggio da poco pubblicato “L’erosione del neutro”.
Lo sfondo che a lungo ha caratterizzato le aree comuni sta lasciando il posto a una voce meccanica, che sovrasta l’ambiente attraverso impianti di riproduzione sempre più installati, incorporati, spesso connaturati al funzionamento del servizio: il sonoro entra in funzione nel momento in cui la struttura è operativa, secondo un automatismo che esclude a priori l’individualità del pensare e dell’agire.
È più facile prendere coscienza di un disagio attribuibile a singoli comportamenti piuttosto che organizzato dall’alto, persino in quegli ambienti che più dovrebbero essere acusticamente protetti (come quelli dell’istruzione e della sanità). 
Questo tipo di insediamento è assai grave perché rende un senso di legittimità all’erosione della neutralità di sfondo, che dovrebbe accomunare i luoghi condivisi, non originariamente deputati all’intrattenimento.
Ciò avviene per via di un sistema di trasmissione che non si può certo ritenere moderno: l’altoparlante ha iniziato a esercitare la sua funzione di persuasione attraverso l’informazione coatta, quando ancora la tecnologia di riproduzione acustica era agli esordi.
Nel corso degli anni Ottanta, gli effetti resi dalla proliferazione di canali commerciali hanno iniziato a spargersi sul territorio con grande velocità. 
La sintonizzazione ovunque con i canali radiofonici, si sostituiva all’ascolto mirato del disco. 
Poi, la centralizzazione acustica mediante impianti fissi, che diffondono il sonoro su larga scala, ha contribuito a modificare ulteriormente il paesaggio sonoro.
Curiosamente, anche i paesi come l’Inghilterra, che meno si sono convertiti all’utilizzo individuale delle tecnologie, si ritrovano facilmente sovrastati dagli effetti degli altoparlanti, nei punti/vendita come negli spazi aperti.
È la sonorizzazione acustica delle aree urbane che diventa struttura, secondo una prassi che si radica e si autolegittima a livello globale.

La trasmissione acustica nelle aree urbane

Attraverso la diffusione centralizzata di informazioni e colonne sonore, l’attuale territorio vede affermarsi campi di ricezione sempre più ampi, dalla spiaggia alle piazze, alla strade più commercializzate.
Mentre lo spazio di ricezione è ovunque, il campo di ricezione include la diffusione di determinate informazioni all’interno di un diametro di spazio relativamente circoscritto, che si costituisce e si dissolve attraverso infiniti punti, la cui ubiquità dipende da fattori eterogenei, non sempre acusticamente pianificati: il sorgere di un centro commerciale, lo svolgimento di eventi locali (sagre, feste, concerti all’aperto ecc.), la sonorizzazione delle aree di transito e snodo, in cui la presenza di un pubblico ricettore di messaggi è sempre fitta.
All’interno del campo di ricezione le voci che si formano dal basso subiscono una netta sopraffazione: è sufficiente una sola unità elettroacustica per emarginare sullo sfondo ogni altra voce naturale.
Lo sfruttamento dello spazio di ricezione potenzialmente sociale

L’erosione dello spazio di ricezione implica diverse strategie: di contaminazione al suono da parte dell’imprenditore che ascolta i programmi radiofonici nel suo locale, o di fretta che induce al cliente mediante il sonoro dai ritmi ossessivi, secondo una strategia di consumo che vede sfruttare lo spazio comune, senza per questo trarne direttamente un profitto.
Lo sfruttamento diretto dello spazio di ricezione, mediante la sua musicalizzazione, implica un’operazione di compravendita tra imprese: quelle che lo gestiscono e quelle che lo acquistano in qualità di spazio pubblicitario. 
Ciò avviene secondo una speculazione molto facile che non incontra i vincoli di quella edilizia.
Lo spazio pubblico continua a definirsi tale ma in realtà si sta gradatamente privatizzando, secondo un processo non dichiarato, con il costituirsi di “campi di ricezione” sempre più ampi e legalizzati. 
Questa dicotomia sta alla base dell’erosione della neutralità nelle aree condivise: la stessa manovra in un’area di non particolare frequentazione non recherebbe alcun vantaggio privato. 
Viene allora da chiedersi, quando e in quale modo la privatizzazione di queste aree, che offrono servizi necessari, possa avere un ritorno positivo verso colui che ne usufruisce.
Pur ponendo che la diffusione di spot pubblicitari comporti un introito per le aziende che gestiscono il servizio, rendendolo più confortevole ed economicamente accessibile, gli elementi sonori indotti, al di là del fastidio, comportano un sovraccarico che agisce sull’organismo di chi è costretto a recepirli. 
Sarebbe come spargere nelle stazioni e nei cinema una sorta di sostanza repellente, che per qualche motivo comporterà un ricavo economico. 
Poiché si tratta di musica e di informazioni, la questione non viene posta in termini di disagio. 
Nelle stazioni, assieme alla pubblicità vengono trasmesse anche informazioni che riguardano il viaggio e l’attesa: questo tende a giustificare in termini di utilità la compravendita che, per esempio, avviene tra l’Azienda Tranviaria Milanese (che gestisce le stazioni della metropolitana a Milano) e i detentori dei prodotti pubblicizzati mediante gli schermi e gli altoparlanti distribuiti lungo le banchine.

Erosione dello spazio fisico e comunicativo

Nella società dell’evento e della commercializzazione urbana attraverso luci, arredi e musiche meccaniche, lo spazio comune diventa oggetto di erosione tramite elementi concreti e comunicativi che lo occupano, allo stesso tempo sottraendo altro spazio: quello del pensiero, della parola che diventa interazione, perché lo spazio mentale, potenzialmente introspettivo, significa tempo che può essere sfruttato, ottimizzato in un contesto vuoto nel senso di pulito, libero di poter essere individualmente interpretato.
Lo spazio comunicativo necessita di essere analizzato al pari di quello fisico. 
Del resto, in epoca postmoderna entrambe le dimensioni tendono convergere. 
La commercializzazione delle aree urbane, attraverso gli arredi e i gazebo che si erigono sui marciapiedi, include una compressione dello spazio comunicativo: con le colonne sonore rivolte ai consumatori e gli effetti provenienti dal traffico che si crea limitrofo, tra segnali d’avviso e suoni amplificati che fuoriescono dalle vetture: la presenza di gruppi che si intrattengono in una sorta di rave party improvvisato, rigorosamente automunito, è un fenomeno che cresce e che prende spazio, così come anche il verificarsi di assembramenti umani che si protraggono durante la notte, lì dove è possibile acquistare alcolici e altre bevande.
Il territorio, nella propria dimensione fisica, perde a sua volta identità considerazione perché il frastuono dell’eterofonia rende i luoghi simili e distanti da ogni forma di appartenenza. 
Ciò si riflette con particolare irruenza sulla mobilità: l’evento che attira le moltitudini si interpone alla quotidiana funzionalità dei mezzi di trasporto, in un restringimento violento dello spazio di transito, soprattutto quando la metropoli non è strutturalmente attrezzata per accogliere le grandi manifestazioni come il festival del cinema o la “notte bianca”.
Risulta più facile trascurare il territorio quando questo viene legalmente trasformato, platealmente addobbato, volgarmente sonorizzato, inquinato dagli scarti e dai rifiuti della commercializzazione. E le conseguenze di tale sovraccarico si traducono in una sordità generalizzata, causata dalla troppa esposizione all’amalgama sonoro e agli effetti delle tecnologie con le quali l’individuo si isola dal contesto reale; questo stato di distrazione e isolamento si riflette sulla strada con particolare drammaticità. Se il suono riprodotto copre le voci naturali impedendone l’ascolto, la comunicazione telefonica trasferisce l’interlocutore nel proprio mondo privato (affettivo, professionale), rendendo insignificante ogni evento che riguarda il contesto reale, compresi i segnali di avvertimento provenienti da un clacson.
Mentre la centralizzazione acustica si sta diffondendo a livello europeo, i comportamenti da guida distratta, per via di suoni autoindotti, continuano a dipendere dalle regole del traffico stradale. 
Bisognerà vedere se gli effetti dell’eterofonia sovrastante non andranno nel tempo a incidere sui singoli comportamenti, traducendosi in un lassismo generalizzato, anche in quei paesi dove il senso civico continua a essere un valore socialmente innato.

Conclusione

Nell’attuale conflitto che investe il territorio nei suoi requisiti di pubblica utilità e condivisione, il suono riprodotto non ha particolari responsabilità se non quella di essersi distinto attraverso la sua stessa forza, con la grande capacità non soltanto di fermare il tempo ma anche di conquistare spazio e di diventare così un oggetto di potere: inizialmente in mano a pochi, attualmente radicato in un sistema dal quale dipendono più fattori. 
L’analisi della riproduzione acustica e dei suoi effetti, include più discipline, dall’economa alla sociologia, all’ecologia dell’ambiente.
Anche l’educazione al suono è importante, soprattutto nei confronti dei più giovani. 
Non si può però tralasciare che il suono riprodotto si infiltra in un contenitore ormai saturo: chi oggi ha vent’anni è cresciuto già avvolto in un contesto di forte compressione fonica, che in molti casi ha coinvolto gli stessi stili di vita e modi di rapportarsi, senza possibilità di confronto con un ambiente esente dalla continua induzione di atmosfere artificiali. 
Ed è proprio dall’ambiente che occorre ripartire, liberandolo dal superfluo.
La creazione di apposite aree della quiete rischierebbe di comprimere ancor più quelle acusticamente infette, che sono anche le più comuni e necessarie alla collettività. 
Lo spazio pubblico deve tornare a essere tale, svuotato e ripulito di ogni elemento comunicativo prevaricante, estraneo alle sue essenziali funzioni: per riconquistarne le potenzialità interattive, introspettive, e così anche quella grande ricchezza che è la musica.

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