Il caso San Siro invita a riflettere

Come spesso succede, il malessere urbano esplode in occasione di avvenimenti appetibili per i mass/media, e non sempre dall’informazione emerge ciò che veramente porta i residenti di un quartiere all’esasperazione. Gli abitanti di San Siro non lamentano solo il caos dei mega concerti ma anche quello delle prove nei giorni che precedono e soprattutto gli effetti di colonne sonore e spot commerciali prima, dopo e durante l’intervallo delle partite: queste da tempo si sono moltiplicate a sorpresa, tra incontri anticipati, posticipati e di recupero, sempre a suon di altoparlanti che ricoprono un ampio raggio d’ascolto. Di questi aspetti si è parlato poco e si è accusato i residenti di scarsa sensibilità musicale. In particolare l’assessore Giovanni Terzi ha più volte ribadito che esiste una differenza tra musica e rumore.
Infatti la musica non è semplice rumore, può essere molto peggio, specie quando viene imposta all’interno di stazioni, negozi, lungo le strade: gli effetti delle tecnologie acustiche si impongono sui rumori di fondo indipendentemente dalla loro unità di misura. Di fatto la musica (e non il rumore di una lavatrice) continua ad essere utilizzata come forma di tortura nelle carceri e altri luoghi di costrizione. Durante la vicenda San Siro si è discusso di decibel e di durata dei concerti, tralasciando le componenti psico/acustiche con cui si esprimono le nuove normative europee. Picchi sonori, clacson e grida concitate non risultano attraverso le medie ponderate ma gravano sul sistema nervoso con particolare irruenza, per non parlare delle vibrazioni sismiche che si verificano negli appartamenti quando il pubblico si agita per apprezzare le canzoni.
Oltre che di ignoranza e scarso affetto verso i giovani gli abitanti sono stati accusati di spirito contradditorio nell’aver scelto di abitare in prossimità di uno stadio, senza considerare che chi ha preso casa a San Siro anni addietro non poteva immaginare che dall’appuntamento domenicale con qualche partita infrasettimanale si sarebbe passati a una situazione di continua movida e ascolto coatto. Che c’entrano pubblicità e musiche assordanti con la partita di calcio? E i concerti?
Tra chi abita un quartiere c’è anche chi ha problemi di salute o semplicemente deve andare al lavoro. Si è davvero certi che nessuno colga un fondo di opportunismo nel giustificare in nome dell’arte il disturbo reso da eventi che portano lauti incassi ai privati?
Del resto di San Siro si è parlato grazie all’imponenza dei concerti e alla notorietà degli interpreti, ma da quando i sindaci hanno facoltà di organizzare eventi di ogni tipo, numerosi sono i comuni italiani divenuti luoghi di malessere costante.
Certo chi esegue concerti o fa politica sa già che il rumore raramente è un fatto oggettivo, e che qualsiasi ascolto (anche quello di Beethoven per un appassionato) può risultare sgradevole qualora imposto attraverso una goffa amplificazione. Tuttavia, un’interpretazione dell’ambiente più moderna già esiste e meriterebbe di essere approfondita, secondo uno studio che analizza gli spazi fisici anche nella loro dimensione mentale, psicologica. Che alla quantità del rumore antepone la qualità distinguendo l’ascolto volontario da quello passivo. Che oltre al contenuto dell’evento ne considera le conseguenze, concependo certe manifestazioni all’interno di spazi idonei decentrati (come già si fa in molte capitali del mondo).
Lo spazio pubblico non è un concetto astratto, e in tanti, al di là dei comitati di quartiere, si vorrebbe che i valori di rispetto reciproco e “cultura vera” ripartissero proprio da chi governa le nostre città, e da chi, grazie alla propria notorietà, gode di una visibilità particolare.

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