Musica passiva e territorio

[Pubblicato su Musica/Realtà, n. 69. Novembre 2002]

Musica, segnali, mobilità e costi sociali

Fino a non molto tempo fa il rumore urbano si identificava con il rombo del traffico in scorrimento. Adesso questo rombo rimane ma nuove fonti sonore ricche di informazioni mirate attraverso musica e parole, tendono a spostarlo sullo sfondo. Ad esempio diventa una componente sonora la stessa l’automobile in sosta (o per meglio dire in attesa). 
Di fatto, alle continue manovre si accompagnano i suoni delle sirene antifurto e delle autoradio cui si aggiungono i clacson, i bip di avviso di chiusura e apertura delle portiere. 
Sono tutti segnali, che vengono captati. Anche se il messaggio non riscuote interesse, il cittadino è avvertito che una vettura sta per essere rubata, così come gli verrà suggerito l’acquisto di qualcosa attraverso uno spot : difficile sottrarcisi anche perché, come dice Adorno, l’orecchio non ha palpebra.
Se la crescita della produzione ha procurato l’aumento dell’uso privato del mezzo, con l’espandersi del terziario è venuto a crearsi un nuovo profilo acustico stradale giacchè il sonoro delle autoradio e degli antifurto è in grado di propagarsi all’esterno per uno spazio decisamente superiore a quello occupato dalla vettura. Sono i suoni che accompagnano l’attuale pendolarismo simmetrico, caratterizzato da brevi spostamenti su tratti bilaterali non convergenti. (Martinotti 1993).
I nuovi cittadini viaggiano e sostano a scopo consumistico oltre che lavorativo, tra uffici, asili nido e centri commerciali, nelle zone di residenza e nei sobborghi dove risiedono succursali e agenzie decentralizzate. E’ un traffico rumoroso ma anche molto “musicale”, perchè se già il pedone si è trasformato in fonte sonora, l’automobile, con tutti i suoi accessori incorporati, portatori di messaggi e di musica è assai più potente. Con la proliferazione massificata di unità elettroacustiche, avvenuta in seguito al boom economico degli anni ’50, al leggendario rumore bianco, conseguente l’utilizzo di motori e macchine dell’edilizia, si va ora sostituendo un effetto di musica e suoni indistinti secondo un criterio di diffusione e di informazione: pensiamo all’attuale quoziente di amplificazione all’interno degli edifici e all’uso che ne fanno gli operatori commerciali, emettendo messaggi che arrivano all’esterno con lo scopo di attirare l’attenzione.
Ma l’attenzione dei viandanti è già in parte catturata dagli effetti uditivi provenienti dai sistemi di allarme, dai transistor e i walky talky di pendolari, padroncini e pony express in continua circolazione nell’attuale sistema di rete terziarizzato.
Una somma di sorgenti acustiche crea un continuum tra il dentro e il fuori, tra il centro, la periferia e i luoghi naturali dove non vengono meno le possibilità di produrre suoni diversi rispetto alla loro fonte originaria.
Se nel periodo delle fabbriche, il rumore (che allora prevaleva sui suoni) godeva di orari tutto sommato rigidi, con un lungo e silenzioso intervallo notturno, l’industria del tempo libero tende a prolungare l’effetto di suoni e di luci dopo la mezzanotte e ad anticiparli al mattino. L’offuscamento dei confini di tempo, come quelli di spazio, dipendono dal grado di attività e articolazione che caratterizza gli addensamenti di fonti sonore. Concentrazioni acustiche non radicate spiccano su uno sfondo già rumoroso e si verificano in taluni punti, ad esempio lì dove c’è un’attività commerciale che richiama presenza e movimento di persone.Una concezione più mobile e flessibile del lavoro ha significato una maggiore mobilità della persona soprattutto per quanto riguarda i servizi all’impresa. (Becchi Collidà 1984).
Da un lato aumentano i veicoli in circolazione, dall’altro aumenta il tempo che gli individui trascorrono al volante: significa ancora più suoni e ancora più “musica” perché la giornata senza orari fissi e dettata dallo spostamento frequente, facilita l’ascolto passivo di musica e altre forme di intrattenimento, se non altro per smorzare il senso di isolamento (cosa che non può avvenire col ronzio di rumori sordi).
In molti casi oggi l’autoveicolo è diventato una specie di seconda casa dove dormicchiare tra un appuntamento, un acquisto e una consegna, dove ristorarsi con cibi preconfezionati e parlare al telefono con colleghi e famigliari; il tutto tra un casello, un capannone e un autogrill, sempre avvolti da un sottofondo di musica e parole.
Più spostamenti e il congestionamento di veicoli, causato da un sistema di infrastrutture non sempre adeguato, inducono i pendolari ad agire con fretta che si traduce in costi sociali. Gli incidenti del sabato notte ne rappresentano soltanto un aspetto poiché lo stato di distrazione alla guida dipende in discreta parte dallo sforzo che richiede la captazione di suoni riprodotti e voci telefoniche disturbate. 
Ulteriormente sottovalutato è il grado di stordimento da parte di tanti che a lungo sono stati esposti a situazioni dettate da forte intensità di audio: tra questi ci sono i frequentatori di dancing ma più numerosi sono gli addetti e i dipendenti di diversi punti vendita, soprattutto vestiario, pub, sale da ballo, locali notturni, tutti luoghi caratterizzati dall’imposizione di musica ad alto volume. 
Gran parte di essi guidano per rincasare e, esattamente come avviene per il ragazzo che esce dalla discoteca, per un po’ di tempo subiranno un innalzamento della soglia uditiva: uno stato di sordità temporanea che a lungo andare rischia di diventare permanente (ossia ipoacusia).
Il territorio inteso come corridoio che porta ad altri luoghi diventa anch’esso parte integrante della quotidianità. Il centro della città tende a spostarsi dalla piazza della chiesa all’ipermercato dove i giovani si danno appuntamento. La sede lavorativa si dirama tra centri-congresso, fiere ed aeroporti, ovunque convergono realtà quotidiane diverse e si vivono relazioni determinate dalla distanza.(Augè 1993).
La diffusione di musica e segnali acustici rende a tali luoghi una parvenza di comunità e raccoglimento che la metropoli è andata perdendo. “Una delle ragioni per cui ci sono queste musiche triviali che accompagnano la città si può considerare come un richiamo alla collegialità (musica nelle caserme, negli ospedali). 
Serve da legame: un legame fittizio tra la gente”.[G. Dorfles]

Suoni Rumore e Decentramento

Un primo passo verso la decentralizzazione del rumore stradale e l’entrata in competizione con l’inquinamento acustico causato da suoni riprodotti è avvenuto negli anni ‘60. 
L’incremento di infrastrutture dei trasporti ha permesso che ospedali, carceri, discoteche e strutture commerciali venissero localizzati all’esterno dei centri urbani. In questo modo, musica e segnali acustici cominciavano ad invadere periferie e zone un tempo rurali.
Allo stesso tempo, il dilagare di suoni riprodotti modificava il contesto sonoro anche nei centri storici in cui l’effetto “cassa di risonanza” viene accentuato dell’aumentato uso di amplificazione, in particolare con il volume sonoro delle campane elettroniche e coi megafoni ai cui richiami rispondono turisti e paesani in festa. Nei vicoli i suoni si scontrano; il porfido e l’acciottolato li aumentano di volume.
Sempre negli anni ‘60, gli effetti della rivoluzione elettroacustica provocata dal recente boom economico cominciavano a farsi sentire rendendo un contesto sonoro indistinto che sopprimeva il vociare della strada, emarginando rombi e ronzii sullo sfondo: un contesto che in breve avrebbe condotto al raggiungimento di un effetto caotico anche peggiore nei piccoli centri, rispetto alla metropoli in cui i suoni tendono maggiormente a disperdersi.
Per un po’ di anni continuò a prevalere il rumore del traffico su quello dei suoni che, peraltro, continuavano ad aumentare. 
Oggi si parla della diffusione di forse miliardi di unità elettroacustiche di largo consumo: basti pensare a quanti telefoni, televisioni e citofoni ci sono in un appartamento o all’abbondanza di radio e antenne paraboliche in gran parte del terzo mondo, con una proliferazione galoppante di walkman, cellulari e ogni sorta di unità elettroacustiche che ogni giorno vengono acquistate. 
Era inevitabile che questo contesto sonoro prendesse il sopravvento sullo sfondo rumoroso.
A differenza delle fonti fisse (se si pensa che i primi telefoni erano affissi ad un muro) ora ci si trova in una situazione paradossale perché le attuali fonti, autorigeneranti, in continuo e rapido movimento attraversano lo spazio con la stessa velocità con la quale si muovono e si posizionano gli individui, rendendo confusa la provenienza dei segnali: il proprietario di un telefonino che squilla esita a spegnerlo poiché nella sua mente già intasata da suoni accavallati e indistinti non riesce a riconoscere la fonte e a risalirla velocemente.
Oltre ad inquinare l’ambiente queste numerose fonti mobili lo danneggiano in modo attivo, rendendo le stesse vittime complici: la persona frastornata e assordata dal sonoro di una TV, si addormenta lasciandola accesa ad un volume che disturberà tutta la notte.
Il paesaggio sonoro prima ancora di essere collocato a livello qualitativo viene così “violentato” secondo un processo di continua provocazione in un circolo vizioso di stimolo e risposta. E’ questo un fatto che incide profondamente sulla nuova metropoli.

Cause ed effetti nella quotidiana diffusione sonora

Nonostante la migliore qualità di ascolto dei CD, larga parte della musica imposta nei luoghi pubblici viene diffusa non secondo criteri di qualità dell’ascolto: semplici radio collegate a casse acustiche diffondono il sonoro nei punti vendita e altrove.
Gli imprenditori non sembrano preoccuparsi di quanto un suono, di per sè già spezzato dalla sua fonte originaria, possa pervenire più o meno nitido all’orecchio del cliente. D’altra parte il cliente, così come l’impiegato e chiunque abbia a che fare con la società dei servizi, si trova già invaso da suoni elettroacustici di pessima qualità: durante ogni telefonata che fa e che riceve, in prossimità di una porta automatica, ogni qualvolta si collega ad un sito, semplicemente ogni qualvolta queste azioni vengono svolte da chiunque si trova nei pressi.
Diversamente dal rumore insignificante, qui si tratta di segnali che spesso rinviano ad altri segnali attraverso sigle musicali e parole registrate, inducendo ad uno stato di costante attesa e concentrazione.
La flessibilità del lavoro costringe l’individuo contemporaneo a spremere i vantaggi della telematica nel tentativo di sfruttare ogni opportunità e stare al passo con ogni cambiamento. Nelle imprese, l’organizzazione settoriale impone ai numerosi responsabili di essere reperibili e diffondere informazioni indipendentemente da orari e da luoghi. Si lavora comunicando. (Accornero 2002). L’individuo viene così sottoposto a continui segnali acustici anonimi, sporchi, economici e irruenti (poiché, a differenza del rumore devono essere captati) e gli diventerebbe difficile riconoscere l’emergere di un suono pur sempre sintetico ma donato dall’alta fedeltà. Con il diffondersi delle emittenti radiofoniche private i palinsesti si sono ulteriormente dilatati e la durata dei programmi ulteriormente compressa (un procedimento che iniziava già negli anni ‘30), sopprimendo così ogni intervallo e ogni respiro. (Attali 1978).
Questa forma di intrattenimento, che dagli anni ‘80 ha iniziato a propagarsi a macchia d’olio, viene di continuo alimentata dalla proliferazione di canali commerciali, attraverso installazioni radiofoniche nei locali e nelle strutture pubbliche. Si tratta di uno sfondo sonoro più invasivo rispetto alla televisione, poiché l’assenza di immagine fa sì che l’attenzione si concentri sugli stimoli uditivi attraverso uno sforzo maggiore ed autonomo, necessario per collocare il contenuto e decifrarlo.
“Proprio il carattere monco della riproduzione della realtà (senza immagine) è il fattore che stimola l’ascoltatore a ricostruire la sua completezza, appellandosi a un’immaginazione tenuta sotto sollecitazione continua.” (C.Piccardi). Vengono trasmessi, in Italia in media 2600 spot al giorno, dalle piccole emittenti, fino alla Rai e a Mediaset. L’alternarsi frenetico tra la parola e l’intermezzo musicale è in parte responsabile anche del cambiamento nella comunicazione verbale tra persone (soprattutto con la distrazione da parte di chi ascolta) se non altro per un fatto imitativo di ritmo sincopato del discorso radiofonico: ad esempio in seguito allo stacco di un brano musicale in breve interrotto, o con l’utilizzo del brano come sottofondo al parlato (procedure entrambe che permettono all’emittente di pagare la SIAE con un forfait approssimativo annuale, evitando la retribuzione attraverso il borderò).
Con il proliferare dei canali radiofonici privati si è recentemente creata una dualità per quanto riguarda la remunerazione dei compositori i quali, presso le radio private, vengono retribuiti con una cifra forfettaria che va in parte a risarcire le spese di produzione, mentre il rimanente andrà agli autori che ricevono più incassi durante l’anno, lasciando così esclusi quelli minori che ugualmente sono iscritti alla SIAE e le cui musiche sono state trasmesse alla radio. Diverso invece è il discorso per quanto riguarda i programmi delle emittenti pubbliche le quali retribuiscono l’autore ogni qualvolta il suo brano viene trasmesso anche se soltanto come sottofondo musicale ad altri messaggi. Una volta iscritto, il compositore potrà essere retribuito per le sue opere eseguite e trasmesse anche a sua insaputa (la verifica di tale situazione avviene attraverso il borderò). Gli strumentisti rimangono esclusi da qualsiasi retribuzione SIAE per le rappresentazioni e per le trasmissioni radiofoniche sia pubbliche che private. Oppure con i ritmi della pubblicità persistente: una prassi questa che rende più facile all’emittente coprire i costi anteponendo alla qualità un vero e proprio bombardamento acustico attraverso la quantità di volte in cui lo stesso spot viene trasmesso (ogni volta introdotto coi picchi sonori). C’è da chiedersi quanto e in quale misura possa influire sulla comunicazione di un individuo la sintonia costante con una radio solita usare il formato di flusso: un tipo di svolgimento che prevede ogni mezz’ora un appuntamento col cosiddetto clock, ossia 30 minuti di assaggio di tutta la programmazione (due minuti di informazione, uno di musica e così via, per circa la metà di tutto il palinsesto). 
Diversamente accade nelle radio alternative che privilegiando l’informazione tendono a lasciare che il programma termini prima di mandare lo spot.
Sempre con gli anni ‘80 la radio ha iniziato a caratterizzarsi per una fusione via via più consistente tra musica e parlato.

Spazi pubblici, sottofondo ed effetti uditivi

La concatenazione di conversazioni, sigle pubblicitarie e musiche brevi crea un effetto schizofonico totalizzante, giacchè la proliferazione delle emittenti commerciali a livello di territorio riguarda in genere i luoghi pubblici, dal punto vendita all’ufficio, alla stazione della metropolitana, alla sala d’aspetto di un ospedale. 
Sono luoghi in cui, differentemente da una sala da concerto, si svolgono attività.
Una serie di azioni e di ragionamenti verranno in qualche modo contrastati dall’ascolto passivo delle emittenti, cui si aggiunge l’emissione insistente di segnali acustici (musichette, bip, squilli, annunci per il personale ecc.). 
Viene definito sottofondo anziché rumore poiché tutti questi messaggi sono musicali e contengono parole. Dal momento che la loro funzione è quella di essere captata, il volume adottato non è quello di uno sfondo sottostante all’azione (come di fatto quello meccanico di cui s’è già detto) bensì in competizione con la stessa.
“Siamo invasi da effetti acustici appartenenti alla fascia bassa della banda sonora, a bassa fedeltà e prodotti con continuità: siete costretti ad aumentare l’altezza dei toni della vostra voce e la pienezza del timbro.”
(P. Tagg)L’annuncio pubblicitario deve essere decifrato e per questo il volume non può abbassarsi entro una certa soglia (es, l’aumento di volume durante lo spot televisivo e radiofonico, o i 70 dB, come soglia minima affinchè il messaggio venga captato nelle stazioni della metropolitana milanese).
Il segnale acustico non verbale, a differenza del rumore, è rivolto a un singolo (annuncio per un impiegato o sigla di un telefonino) ma viene subito a livello collettivo, così come le trasmissioni musicali, proprio come accade per il fumo passivo. In questo caso però non esistono comparti e sale per non ascoltatori.
Se nel momento in cui viene captato il segnale attraverso musica non è gradito, diventa rumore ossia fastidio. E’ in questa fase che avviene il passaggio dalla quantità del rumore (ossia l’inquinamento acustico “vecchia maniera” misurato in dB.) alla qualità crescente del suono: qui il frastuono invasivo diventa sottilmente velenoso. 
A parità di dB. si dimostra più fastidioso proprio perché contiene un messaggio, per giunta particolarmente elevato, come il messaggio musicale. Si entra in un contesto puramente soggettivo in quanto la reazione del soggetto che percepisce il messaggio è legata al particolare stato d’animo che lo caratterizza in quel momento. Se anche non dovesse costituire la maggioranza, per un numero non trascurabile di individui tale musica risulta sgradevole, almeno in quel momento e in quel luogo.
(G. Campolongo).
A questo punto si tratta di una dimensione che nessuna legge acustica e tanto meno un sondaggio statistico potranno mai calcolare: la risposta dell’interrogato, può cambiare rapidamente perché anche l’ascolto del suo autore preferito, in un breve lasso di tempo in cui subentrano in lui nuovi eventi e nuovi pensieri, può risultargli fastidiosa.
La necessità di aree verdi in una metropoli risulta essere un fatto scontato ma non si considera, a livello cosciente, l’esigenza di aree acustiche neutre, in ogni caso esonerate dal fastidio che una sorgente sonora può procurare, indipendentemente da presunti limiti di accettabilità, valutando esclusivamente la molteplicità di stati d’animo sconosciuti che vi si possono vivere e di azioni che vi si possono svolgere.
Forse si arriverà anche qui a costruirle sul modello delle cittadelle silenziose americane. Oppure aumenterà ulteriormente la presenza di laici in vacanza all’interno di conventi e monasteri, nella ricerca quasi disperata di un perimetro silenzioso. Ma le zone acustiche neutre già esistono e andrebbero solamente rese tali. Non sono i centri di meditazione o di ritiro spirituale in cui l’individuo frastornato, quasi si trova costretto ad una condizione di free-rider della quiete. Non sono nemmeno quegli spazi appositamente edificati in cui ci si trova a comprare il silenzio. Sono invece tutti i luoghi in cui l’individuo non ha chiesto esplicitamente di essere intrattenuto con musica riprodotta.
Quei luoghi che già esistono e magari ne collegano altri, in cui i cittadini, indotti dall’evolversi di una società sempre più competitiva e flessibile a livello lavorativo, vorrebbero in qualche modo fare loro quel ritaglio di tempo ricavato, per poter leggere, ripassare, prendere decisioni, organizzarsi, liberare la propria mente. 
Sono le sale d’aspetto (in particolare quelle dei laboratori medici) e i caffè, in cui non viene imposto il sottofondo radiofonico. Sono i vagoni dei treni dove sia utopicamente proibito l’uso del cellulare, dove il passeggero non sia costantemente sottoposto a messaggi con altoparlante, ma nemmeno gli sia consentito l’ascolto di musica… seppure con moderazione.

Conclusione

E’ evidente che fino a che non si imparerà a riconoscere il disturbo causato dai suoni e da musica che non si è scelto di sentire, soltanto il rumore rimarrà il vero responsabile di tutto il disagio acustico. 
Intanto un “concerto” di suoni “comunicativi”, “melodici” e “ottimistici” prosegue e dilaga indefesso, inducendo gli individui ad un assiduo contatto verso ciò che è lontano, in una sorta di torpore e distrazione verso ciò che è presente: un sonno senza silenzio, in cui le parole tra coloro che vorrebbero sentirsi vicini si sommano e si confondono con suoni estranei e conversazioni tra sconosciuti.
Se attraverso questi filtri si voleva arrivare a un’interazione più attenta e ravvicinata, dal punto di vista umano-percettivo avanza uno stato di saturazione che anziché predisporre gli individui alla comunicazione, li emargina lentamente, costringendoli a darsi per vinti in quella continua battaglia tra ciò che si vorrebbe dire, ciò che si vorrebbe ascoltare e ciò che si è costretti a sentire.
Difficile prendere coscienza di un inquinameto che è diventato tale senza passare attraverso il disturbo: esso viene subìto esattamente come le esalazioni dei tubi di scappamento in città ma, a differenza di quello atmosferico e da rumore, qui non si nota la sua presenza nemmeno nei luoghi naturali. 
Impegnativo compito quello di indurre il pubblico ad un ascolto attivo e selezionato, soprattutto per quanto riguarda le generazioni più giovani, dal momento che già sono cresciute musicalmente inquinate. 
Poiché non si può aggiungere materiale ad un contenitore già saturo, sarà necessario svuotarne il contenuto.
D’altra parte, è questo un procedimento incompatibile con la costrizione all’ascolto (seppure pilotato e attento) di ancora altra musica. 
Una via alternativa potrebbe invece essere quella di indurre l’ascoltatore a selezionare i suoni puri, estrapolandoli dalle sonorità sintetiche e assuefanti e, una volta riconosciuto l’elemento, analizzarlo, confrontarlo e riprodurlo come fenomeno isolato: un processo di vero e proprio scardinamento della massa sonora e di ricomposizione degli elementi, di disintossicazione attraverso la quale, magari, riprendere a considerare i suoni come arte e proporre la musica come quella straordinaria risorsa che merita di essere conosciuta, dosata, conquistata, contrariamente all’essere ingerita come un farmaco prescritto secondo motivazioni che esulano dal suo valore intrinseco e, anzichè avvicinare gli esseri, li isola.

Bibliografia

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