La Milano che riemerge

Pubblicato su in FANA il 27 novembre 2020.

Mentre lo stato di pandemia avanza col succedersi di arretramenti e ondate di contagio, Milano si trasforma in modo strutturale senza che i cittadini quasi se ne accorgano, un po’ perché lo stato di emergenza rende tutti più distratti, un po’ perché questi cambiamenti non si evidenziano come aree nuove appositamente create ma piuttosto come le stesse, diversamente utilizzate.
Evitare gli assembramenti, specie durante il periodo tra le due ondate, ha fatto sì che più aree pedonali fossero destinate ad accogliere persone che si spostano senza una meta precisa: con l’ampliamento all’esterno dei Bistrot e la predisposizione di altri spazi così da non affollare i parchi (che già sono scarsi).
Ora si è nel mezzo della seconda ondata con il lockdown imposto dalla zona rossa. Ma questi spazi restano e potrebbero rappresentare un ritorno alle vecchie piazze, quelle che col tempo sono state sostitute dai centri commerciali dove la gente va per incontrarsi, fare acquisti, gironzolare, provando quel senso di raccoglimento che nella metropoli è andato perdendosi. 
Piazza Castello a Milano per anni è stata sede di manifestazioni solitamente promozionali, col continuo montaggio e smontaggio di gazebo, palchi e padiglioni. Adesso lo scenario è ben diverso, con panchine che prima non c’erano e di nuovo la visuale del castello sullo sfondo. Questi stessi luoghi, per anni impoveriti dall’insediamento di attività itineranti testimoniano adesso una città che nonostante tutto non è morta e per certi versi sembra riscoprirsi.
Pur sperando a breve nel vaccino, il distanziamento dovrà essere mantenuto a lungo e l’economia non può arrestarsi per sempre. Il tanto discusso periodo prenatalizio, che ogni anno vede invadere le strade del centro, procura assembramenti con i mercatini ma soprattutto con manifestazioni espositive altisonanti (presepi, mega abeti luccicanti, piste di pattinaggio, allestimenti pubblicitari). Sono eventi che nulla hanno a che fare con gli acquisti nei negozi. Che creano assembramenti secondari (molto più difficili da controllare).
In una città dove si riprende a stare in strada (non soltanto per spostarsi da un punto a un altro) il distanziamento avviene da sé, così come ovunque c’è lo spazio dove stare. Ma occorre che queste aree restino disponibili (esenti da strutture mobili che le occupano). A misura d’uomo, protette dal passaggio dei veicoli e tanto meno adibite a parcheggio temporaneo. Dotate di posti a sedere, tavoli, fonti di acqua potabile. 
Milano, più che vuota appare riemersa, ripulita dal superfluo.
Bisognerà vedere in seguito se questi cambiamenti spontanei, quanto reali, avranno un naturale assestamento o se si tornerà allo sfruttamento delle aree comuni per eventi estranei alla loro funzione primaria di attraversamento, sosta e socialità. 
Qualsiasi agglomerato urbano necessita di aree vuote nel senso di libere da tutto ciò toglie spazio al cittadino. Che proprio grazie allo loro neutralità permettano agio, quiete, e quella che gli inglesi chiamano “discreta distanza” tra sconosciuti. Che proprio in quanto tali siano costantemente salvaguardate, indipendentemente dalle circostanze.